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lunedì 2 agosto 2010

Pomodoro cinese e prosciutto olandese: made in Italy in pericolo



FONTE: www.estense.com

Il concentrato asiatico copre il 10% della produzione nazionale, due crudi su tre sono di origine estera (ma pochi lo sanno)

Il pomodoro cinese, il prosciutto crudo italiano ‘olandese’, i totani che di Italiano hanno solamente l’ultima fase di lavorazione. Tre prodotti che fino a qualche decennio fa erano orgoglio tricolore, ora impallidiscono sotto un’economia evidentemente finalizzata unicamente al risparmio (ma sarà vero risparmio?) e che non vede nella valorizzazione dei prodotti nostrani una fonte per uscire dalla crisi e su cui continuare a imperniare il futuro.

Ma andiamo con ordine. Il caso mozzarelle blu è solamente la punta di un iceberg ben più profondo e corposo, che fa scalpore più per la pericolosità del fatto in sé per le modalità in cui avviene.
Ma c’è un mondo che passa inosservato ogni giorno ma che pian piano erode quello che era un substrato solido e ben ancorato, chiamato made in Italy. Fatto di frutta e verdura di stagione che per chi ha vissuto il Ferrarese parla di pomodori in agosto, gustosi meloni da tutto il territorio provinciale, fagioli freschi sgranati nelle aie in estate, stesso dicasi per i piselli, ed ancora cocomeri del Basso Ferrarese in agosto. Per non parlare dei salumi e salami ‘casalinghi’ prodotti in compagnia nelle aie poco prima di Natale.

E oggi? Le etichette per la maggiore riportano le scritte “made in China”, “made in Taiwan”, con accostamenti tra la natura del prodotto e la cultura agricola del paese da brividi.
Ultimi casi scoppiati in ordine di tempo il mercato cinese del pomodoro e i prosciutti crudi italiani… nord europei.
Per quanto concerne la rossa verdura, con 82 milioni di chilogrammi (10% della produzione nazionale) risulta essere la prima voce dell’export agroalimentare cinese in Italia, come riferito qualche mese fa da Coldiretti.
Le conseguenze sono scontate. La situazione del mercato dei derivati del pomodoro, mostra tra il dicembre e il febbraio scorso una forte crescita delle importazioni di concentrato triplo dalla Cina nell’Unione Europea che tendono quasi a triplicare (+174%), con una forte riduzione dei prezzi industriali (-15%, con una punta di -30% rispetto a prodotti similari statunitensi) che trascina verso il basso il valore di tutti i derivati comunitari.

Ancora. In Italia alla parola prosciutto crudo si associano allevamenti che immaginiamo sorgere floridi in Emilia Romagna (terra del Prosciutto di Parma), in Toscana, in Friuli (culla del San Daniele), mentre l’ultimo presidio dei rappresentanti Coldiretti al Brennero ha portato alla scoperta di un carico di cosce provenienti dall’Olanda, destinate ad uno stabilimento Modenese per la lavorazione.
Sugli scaffali dei negozi italiani infatti – riferisce Coldiretti – ben due prosciutti su tre provengano da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania e Spagna, senza che questo venga chiaramente indicato in etichetta, anzi, l’uso di indicazioni fuorvianti come “Di Montagna” e “Nostrano” spesso ingannano il consumatore sulla reale origine di ciò che mangia. Il tutto aggravato dalla quantità di prosciutto già affettato, venduto in vaschette preconfezionate, la cui origine è il più delle volte ignota, anche se il consumatore magari crede di acquistare vero prosciutto italiano. C’è da chiedersi – sottolinea Coldiretti – quanti consumatori si siano mai accorti di star mangiando prosciutto estero.
La mancanza di trasparenza danneggia sia i consumatori sia gli allevatori italiani, che sempre più spesso chiudono le loro imprese: nella sola Emilia Romagna, nel 2001 – continuano le analisi Coldiretti – operavano più di 1.300 allevamenti di maiali, calati oggi a meno di mille. C’è il rischio concreto di estinzione degli allevamenti regionali e con essi dei prodotti di qualità che ne derivano”.

Ma, è possibile difendersi dal finto made in Italy? Alla luce dei fatti, la prima vera difesa sarebbe la conoscenza, ovvero sapere come e con cosa sono assemblati i vari prodotti, per poter effettuare una scelta consapevole.
Abbiamo chiesto lumi in merito alla sede Coldiretti di Ferrara, dove hanno fatto il punto della situazione Mauro Tonello, presidente della sezione estense, ed il vice Riccardo Casotti.

In primis: esiste una lista – ufficiale o ufficiosa – relativa ai prodotti potenzialmente a rischio che troviamo quotidianamente in vendita?
“Non esiste una lista ufficiale o ufficiosa di prodotti a rischio. Premesso che vigilanza ed i controlli spettano agli organi competenti (dai NAS, ai carabinieri anti frode, alle guardie forestali, ai servizi di vigilanza Usl, ecc.) come associazione di produttori agricoli abbiamo denunciato che vengono venduti prodotti che si fregiano del marchio made in Italy o di nomi italiani ma che troppe volte non sono prodotti con materie prime italiane. Purtroppo la gamma è molto vasta, in alcuni casi si tratta di alcuni componenti, in altri invece è l’intero prodotto a non essere affatto di provenienza nazionale e quindi a sottrarre reddito ai produttori italiani per la parte agricola. In alcuni casi si può parlare di mancata trasparenza, cosa alla quale come Coldiretti chiediamo di porre fine con una normativa chiara sull’obbligo di indicare in etichetta l’origine della materia prima agricola di tutti gli alimenti. Poi si potranno fare le scelte più opportune, ma forse si potranno anche capire meglio certi prezzi troppo bassi di prodotti anche blasonati”.


Confezioni di pomodoro con etichette che richiamano prodotti italiani ma in realtà di produzione cinese

Il pomodoro cinese è forse l’emblema di un’economia che ambisce al declino…
“Il nostro allarme riguarda anche il fatto che vengono importate materie prime che diventano non solo made in Italy nelle fabbriche dove si inscatolano o confezionano e basta, ma che è necessario vengano maggiormente controllate riguardo le caratteristiche qualitative: l’evidenza del ritrovamento di pomodoro trasformato cinese, non solo contraffatto per assomigliare ad un prodotto italiano, ma anche pericoloso o comunque scadente, non riguarda solo il problema di una concorrenza scorretta per i produttori italiani, ma di salubrità per i consumatori.
Di qui la difficoltà o meglio impossibilità nel determinare liste di prodotti in vendita potenzialmente rischiosi. E’ secondo noi utile prestare la massima attenzione di fronte a prodotti dal prezzo troppo basso in relazione alle materie prime di origine, di fronte a nomi di fantasia che richiamano luoghi italiani o nomi della tradizione ma che in etichetta non dichiarano l’origine delle materie prime e che si nascondono dietro sigle di stabilimenti di produzione senza dire chiaramente il luogo”.

Il Ferrarese è a rischio di qualche bufala in particolare?
“Non ci sono quindi prodotti particolari a rischio nella nostra provincia più che nel resto d’Italia, ma nemmeno meno. Il consiglio, anzi l’esigenza è quella che i consumatori imparino a leggere l’etichetta, che dovrebbe essere però resa più leggibile e comprensibile, rendendo obbligatorio indicare l’origine del prodotto a partire dall’azienda agricola e dall’allevamento”.

Il presidio al Brennero di inizio luglio a quali conclusioni ha portato?
“L’iniziativa del Brennero ci consegna un bilancio purtroppo sconfortante, nulla o poco è cambiato dall’anno scorso, salvo che diversi camion anziché transitare su strada sono stati caricati su treno per evitare il nostro controllo e che diversi TIR hanno preferito attendere prima del valico diverso tempo per evitare controlli comunque eseguiti dalle forze dell’ordine ma che avrebbero messo in evidenza non tanto irregolarità normative o sostanziali ma di “immagine”, come latte estero destinato a caseifici rinomanti per l’italianità dei loro prodotti o prosciutti olandesi con destinazione Parma e Modena…
Altre iniziative non sono escluse, ci sembra necessario tenere alta l’attenzione ma non solo. il ritorno ai prodotti rispondenti alle reali caratteristiche potrà avvenire con maggiore serietà da parte dei trasformatori e degli industriali ma anche con regole diverse. Una l’abbiamo già detta abbondantemente: etichettatura obbligatoria dell’origine. E poi evidentemente con l’applicazione coerente e puntuale dei controlli e delle sanzioni”.


Anche gli agricoltori ferraresi al presidio del Brennero di inizio Luglio

Possibile ritornare in possesso di prodotti rispondenti a reali caratteristiche? O vista la crisi il pescare dai mercati esteri a minor costo rimarrà l’unica strada la strada più battuta?
“Altra possibilità che stiamo percorrendo e che comincia ad essere concreta è la costruzione di una filiera di prodotti agroalimentari tutta italiana e tutta agricola: pasta, formaggi, vino, ecc. provenienti solo da aziende agricole italiane, trasformate in Italia da un sistema gestito da agricoltori e controllato in modo serio e trasparente e che si rapporta direttamente con i consumatori. Lo abbiamo chiamato progetto delle filiere tutte agricole e tutte italiane ed i Punti Campagna Amica che iniziano ad essere accreditati, sia nelle aziende agricole, sia nei mercati, sia in punti vendita organizzati, sono il segno della rete che si sta costruendo, capace a nostro parere di portare trasparenza nel mercato, reddito ai produttori e buoni prodotti a prezzi equi ai consumatori”.

A quest’ultimo proposito ricordiamo che sabato, durante l’iniziativa “I tesori della campagna per i tesori della città” svolta presso il punto Campagna Amica di Coldiretti in via Canapa, è stata messa in vendita la pasta a marchio “Valli del Grano”, società del Consorzio Agrario Lombardo Veneto, il principale Consorzio italiano, aderente alla rete dei Consorzi Agrari d’Italia, ovvero la prima pasta prodotta interamente dagli agricoltori.

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